Prima di misurarci con la difficoltà oggettiva di scegliere la risposta all’interrogativo, abbiamo voluto provare a rileggere quello che avevamo scritto all’inizio dell’anno 2013. Riferendoci all’Italia ed alla Calabria, così scrivevamo: “La Calabria è ormai omologata come una realtà di frontiera in permanente condizione di emergenza. Una condizione, dunque, che induce a riflettere ed a considerare che senza un partecipato e consapevole progetto di rinascita, in particolare del sistema democratico e delle Istituzioni pubbliche, che si concretizzi in un operato quotidiano fatto davvero di buona politica, uona amministrazione, onesto e corretto operare dentro la più rigorosa legalità, è facile presagire che la “via crucis” possa concludersi, amaramente, sul calvario e che a pagare siano soprattutto i nostri figli, ai quali consegneremo una pesantissima eredità.Questo vale anche per il livello nazionale.

Questo titanico sforzo, dunque, dobbiamo provare a farlo tutti, per rinascere, ma anche per acquistare credibilità come Regione nel Paese e come Paese nella più grande dimensione comunitaria.Sia a livello nazionale che regionale, questo potrà accadere soltanto se ciascuno al proprio posto, da subito, si convincerà che urge cambiare rotta, non perseverare come se nulla fosse, perché la strada imboccata porta al completo fallimento. Occorre, dunque, ricostruire il sistema democratico, rendendolo meno rissoso, meno parcellizzato, meno ripiegato sull’interesse esclusivo per il presente ed a danno delle future generazioni, veramente proteso con generosità e forte volontà a dominare l’imperante e smisurato egoismo.Se avremo questo coraggio e questa onestà, dovremo, invece, scegliere in via definitiva e permanente la strada che porta alla edificazione del bene comune, che è la massima aspirazione della grande maggioranza dei cittadini calabresi ed italiani.Noi (voglio dire la nostra Associazione) continueremo ad ispirarci a questa fonte ideale e ad essere sentinella sui problemi e sulle indispensabili riforme, proseguendo il nostro lavoro con impegno, onestà e lealtà.”

Accanto a questa radicata opinione, sempre all’inizio del 2013, eravamo consapevoli che sarebbe stato l’anno in cui gli italiani sarebbero tornati alle urne con la vana speranza che questa volta sarebbe stata cambiata la legge elettorale – l’odiato porcellum – e che l’esito del voto avrebbe consentito all’Italia di imboccare la strada della virtù, come anche noi avevamo auspicato, scrivendolo.Avevamo sperato anche che il risultato elettorale fosse tale da assicurare la stabilità e la solidità del Governo post-elezioni, qualità queste estremamente necessarie per iniziare la risalita del sistema democratico, scosso dalla profonda crisi originata dalla proliferazione di scandali sul terreno dei costi della politica, minato da una rissosità senza precedenti nella storia della Repubblica, incapace di fronteggiare la più grande crisi finanziaria, economica e sociale prodottasi nell’intera Europa al seguito della crisi nata nel 2008 negli Stati Uniti d’America.Sapevamo anche che in Italia venivano contemporaneamente a scadenza il Parlamento ed il settennato di vigenza del Presidente della Repubblica e che gli italiani speravano che entrambi gli eventi si potessero concludere in maniera armonica e sinergica. Ma, purtroppo, come sappiamo tutti, non è andata affatto così. Anzi.

E’ accaduto che non solo non si sono realizzate le coltivate speranze, ma si è dovuto convenire che il risultato elettorale non consentiva di comporre la maggioranza necessaria per formare il Governo, né di raggiungere l’accordo per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Tutto questo è accaduto anche perché il Movimento 5 Stelle, per il quale hanno votato più del 25% degli elettori, non ha inteso partecipare, in Parlamento, ad alcun rapporto politico per formare il governo del Paese.
E’ apparso a tutti evidente che si era venuta a creare una emergenza istituzionale, superabile soltanto con la decisione di scegliere subito una delle due
sole opzioni disponibili: l’immediato ritorno alle urne o la composizione di un governo di emergenza che, per nascere, necessariamente avrebbe dovuto essere sostenuto dalle due forze politiche che per vent’anni avevano vissuto in modo assolutamente alternativo la vita democratica italiana.
Prevalse, come sappiamo, la seconda opzione, ed in breve lasso di tempo è stato rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e formato il nuovo Governo, presieduto da Enrico Letta e sostenuto dal PD, dal PDL, da Scelta Civica e dall’UDC.
Il Segretario del PD Bersani, anche a causa della pessima legge elettorale che consente il formarsi di maggioranze diverse al Senato ed alla Camera, prende atto della mancata vittoria, rassegna le dimissioni e viene sostituito alla guida del Partito da Guglielmo Epifani.
Ma la soluzione di governo trovata si rivelerà presto inadeguata e di pura emergenza, anche per via delle vicende giudiziarie del Sen. Berlusconi che non avrebbero dovuto interferire ed ostacolare l’attività di governo, ma che, invece, procurano reiterate iniziative politiche del PDL che finiscono col generare una spaccatura all’interno dello stesso partito, con la nascita di una nuova formazione politica il Nuovo Centro Destra.
Il PD dal canto suo, dopo una travagliata fase della sua vita interna, decide di celebrare l’8 dicembre le elezioni primarie, aperte alla generalità dei cittadini, per la scelta del nuovo Segretario nazionale.
E’ di novembre, infine, la scelta del PDL – intanto tornato alla denominazione precedente: “Forza Italia” di non sostenere più il Governo Letta e, dunque, di collocarsi all’opposizione.
La situazione precipita ulteriormente, nell’imminenza della decisione del Senato che arriva a fine novembre, di espellere il Senatore Berlusconi, reo di condanna definitiva passata in giudicato per “evasione fiscale”, sulla base di quanto previsto dalla cd “Legge Severino”.
Il PDL chiude i battenti anche in Calabria.
Anche nella nostra Regione rinasce Forza Italia e si forma il Nuovo Centro Destra capeggiato dal Presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, che assieme ad altri 5 Senatori calabresi è stato protagonista, con i 5 Ministri del Governo Letta in quota PDL (Alfano, De Girolamo, Quagliariello, Lorenzin, Lupi) della nascita del Nuovo Centro Destra.
In questa cornice disperata, il 4 dicembre, la Corte Costituzionale decide la abolizione di due parti fondamentali della legge elettorale in vigore (il premio di maggioranza e la impossibilità per il cittadino di scegliere il suo rappresentante in Parlamento).
Il Presidente della Repubblica, anche sulla base della richiesta formulata da Forza Italia, concorda col Presidente del Consiglio sulla opportunità di un nuovo passaggio di fiducia del Governo in Parlamento, che viene fissato per il giorno 12 dicembre, a soltanto quattro giorni di distanza dalla probabile elezione del nuovo Segretario del PD.
L’8 dicembre, col risultato previsto, ma con una dimensione inaspettata, la consultazione elettorale per l’elezione del nuovo Segretario Nazionale del PD incorona Matteo Renzi (68%) e si apre una nuova era nella vita del maggiore Partito italiano.
Il 12 dicembre il Parlamento ha votato e ribadito la fiducia al Governo Letta 2 e viene così sancita la fine del Governo delle “larghe intese”. Il nuovo Governo é sostenuto da una maggioranza ridotta nei numeri (in special modo al Senato) ma, probabilmente ed augurabilmente, più coesa, più operativa, più efficace.
Accanto a questa carrellata di fatti istituzionali che hanno caratterizzato il 2013, abbiamo il dovere, per completare il quadro generale della precaria condizione del Paese, di riandare e soffermarci sull’andamento della grave crisi finanziaria, economica e sociale che ha vissuto nell’anno 2013 il Paese, che numeri eloquenti descrivono nella sua crudeltà, mentre l’Europa ha già invertito la rotta e già nell’anno corrente conoscerà la fine della recessione e l’inizio della fase di crescita.
In Italia, invece:
1. è cresciuto ancora il debito pubblico (oltre due milioni di mld di €);
2. é cresciuto anche, per fortuna non in maniera proporzionale, l’interesse annuo da corrispondere ai creditori, per via della minore incidenza complessiva dello spread;
3. è diminuito ancora il prodotto interno lordo (solo nel IV trimestre c’è la fondata speranza che, finalmente, si possa registrare la fine della recessione).
4. é cresciuta ancora la disoccupazione complessiva e quella giovanile; quest’ultima ha raggiunto la percentuale record del 42,1%. Secondo le più aggiornate
statistiche, infine, circa il 30% della popolazione italiana è a rischio di povertà.
Il Mezzogiorno e la Calabria, stanno ancora peggio, mai così tanto indietro rispetto al dato nazionale.
Il dato più impressionante è costituito dalla consistente emigrazione dei nostri giovani laureati “tratti dalla speranza di fare altrove fortuna”, per dirla con Alessandro Manzoni.
Sulla base delle considerazioni che precedono è possibile ora rispondere alla domanda posta nel titolo di questa riflessione.
Sì, l’anno 2013 dal punto di vista istituzionale, politico e sociale è stato un Annus Horribilis: un anno da dimenticare, di vera e propria emergenza sociale che chiama in causa la responsabilità in primis della politica e delle Istituzioni elettive.

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Ma non possiamo concludere così le nostre riflessioni sull’anno che va: ci sarebbe di che disperarsi. Dobbiamo aggiungere ad esse, pertanto, aiutati dall’avvento del Natale, una lettura anche di speranza di questo tempo.
Come non ricordare a questo proposito, una serie di eventi particolari da prendere in seria considerazioni per poter guardare avanti con rinnovata speranza e fiducia, a partire da quanto accaduto appena oltre Tevere nello Stato Pontificio?
Gli anni 2011 e 2012 sono stati anni difficili per la Chiesa Cattolica, afflitta da sofferenze umane e di altro tipo, talune abbastanza insidiose e capaci di incrinare in qualche misura la fiducia dei credenti (la sparizione di Emanuela Orlandi, gli scandali dello IOR, il problema della pedofilia, il trafugamento
di documenti segreti del Papa e l’arresto del suo maggiordomo).
Ma nel 2013 nella vita della Chiesa è accaduto un fatto storico, mai prima verificatosi. Si dimette, infatti, Papa Benedetto e ne dà annuncio, in maniera semplice e con grande umiltà, nel corso di una motivata e pubblica dichiarazione, fissando il 28 febbraio come ultimo giorno del suo Pontificato.
Come racconta, ormai, la storia di quei giorni, alle ore 17.00 del 12 marzo, inizia il Concistoro per l’elezione del nuovo Pontefice.
Il 13 marzo, dopo il quinto scrutinio, dal comignolo della Sistina si levò la fumata bianca, ad annunciare al mondo intero l’elezione del nuovo Pontefice.
A seguire, con la tradizionale locuzione Habemus Papam, viene annunciata l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, col nome di Francesco.
Dopo soli due giorni di conclave, durato appena 25 ore e 32 minuti, la Chiesa Cattolica, che i più esperti osservatori consideravano in difficoltà, dimostrava al mondo la sua vitalità, con l’ascesa di Papa Francesco al soglio pontificio.
Ci sono segnali di speranza anche in Italia ed in Europa degni di essere ricordati.
In Italia la fondata speranza, anzitutto, che la fine dell’anno coincida con la fine della recessione economica, alba di una crescita ancora insufficiente, ma ugualmente importante, per invertire, intanto, la rotta e provare a viaggiare in maniera spedita verso traguardi di maggiore sviluppo e creazione di nuovi posti di lavoro.
Ancora in Italia, la forte fibrillazione estiva del Governo Letta, dovuta a motivi insorti a seguito della condanna definitiva di Berlusconi per evasione fiscale, culmina nella scissione del PDL.
Rinasce, infatti, Forza Italia che esce dalla maggioranza di governo e nasce il Nuovo Centro Destra (NCD), che continua a sostenerlo. Seguono, all’interno della maggioranza, due successivi assestamenti, Matteo Renzi trionfa nelle elezioni primarie continua da pag. 2 per la scelta del nuovo Segretario del PD ed il Parlamento, appena alcuni giorni fa, rivota la fiducia al Governo Letta. Tutto questo sembra preludere ad una nuova intesa nella maggioranza,
una sorta di patto per attuare provvedimenti urgenti mirati a confermare ed incrementare la crescita economica (selezionati tagli ai costi della politica ed alla spesa pubblica; attenuazione della pressione fiscale negli aggregati famiglie, lavoro ed imprese; interventi sociali (disoccupazione, servizi sociali, nuove soglie di povertà); a votare una nuova legge elettorale, dopo che la Consulta ha bocciato per incostituzionalità parti importanti del “porcellum” (premio di maggioranza e negazione all’elettore del diritto di scegliere il parlamentare da eleggere) e, dulcis in fundo, a consentire all’Italia di assolvere al diritto-dovere di presiedere il Consiglio d’Europa, nel secondo semestre del 2014.
La novità in Europa è costituita dai risultati elettorali registrati in tre Paesi fondamentali dell’Europa (Italia, Francia e Germania) tra 2012 e 2013. In tutti e tre i Paesi si è verificato un avanzamento relativo (Germania e Italia) o assoluto (Francia) delle forze politiche che fanno capo alla sinistra europea. Anche questo è un segnale di speranza per provare con convinzione e decisione a modificare l’asse portante della politica europea fortemente voluta da Francia (Sarkozy) e Germania (Merkel), troppo ripiegata sul rigore tout-court, a totale scapito del forte e diffuso bisogno di sostenere una politica mirata alla crescita economica generatrice di risorse economiche e lavoro.
C’è, dunque, una seconda risposta al quesito formulato nel titolo di questa nostra riflessione. Il 2013 è stato sicuramente un “Annus horribilis”, ma si chiude con la speranza che i sacrifici fatti dai cittadini italiani nel 2012 e 2013 sono serviti ad interrompere ed invertire un cammino negativo del nostro Paese per approdare ad un 2014 in cui esso possa ritrovare le sue virtù e riprendere a crescere, a ridurre i sacrifici richiesti ai cittadini, a creare lavoro per i giovani e per i disoccupati, a soddisfare i bisogni degli “ultimi”.

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