In coda alla riflessione di Aprile, su Opinioni Calabria n. 1-2014, intitolata: 2014: l’anno della svolta? abbiamo testualmente scritto: L’anno che abbiamo davanti è particolarmente difficile ed impegnativo, per l’Europa, per l’Italia, per la nostra Calabria, anch’essa stracarica di scadenze ordinarie e straordinarie.
Oltre alle elezioni europee di maggio la nostra terra è probabile che debba affrontare quelle per il rinnovo del Consiglio regionale e per la istituzione della Città metropolitana di Reggio Calabria.

Partiamo da questa considerazione di allora per una consapevole riflessione sul risultato delle elezioni europee di Maggio e sulle sue conseguenze sul piano nazionale ed europeo, ricordando che, col 1 Luglio, è iniziata la Presidenza italiana dell’Unione Europea. La riflessione si completerà soffermandosi sulla nostra Regione, l’amata terra di Calabria.

L’Italia e l’Europa dopo il voto del 25 maggio.

Nelle settimane che hanno preceduto le elezioni, le affollate piazze dove il leader del M5S parla agli elettori ostentando la sicurezza del “sorpasso” ed il contestuale esplodere di scandali ed arresti in più parti del territorio italiano, in settori diversi della società ed in aree contrapposte politicamente, fanno temere il peggio per l’Italia, da più di tre anni alla disperata ricerca di un momento di maggiore agibilità politica, che faccia realisticamente sperare di poter evitare il collasso istituzionale, dopo quello politico, economico e sociale.
Questa preoccupazione, che rasenta la paura, è abbastanza diffusa nella pubblica opinione del Paese, malgrado i sondaggi di diversa provenienza accreditino che tra i due maggiori contendenti per la vittoria elettorale – il PD ed il Movimento 5 S – ci sia uno scarto che varia tra i 4 ed i 5 punti percentuali a favore del PD.
Nel tardo pomeriggio di domenica, inoltre, ancora ad urne aperte in Italia, il sistema della comunicazione diffonde notizie parziali dei risultati elettorali in altri Paesi europei, che rivelano la crescita delle forze euroscettiche e, appena più tardi, in Francia la vittoria elettorale dell’estrema destra di Marine Le Pen (primo Partito in Francia col 26,8% dei voti), unito al crollo dei socialisti del primo Ministro Francois Hollande (col 13,8% dei voti – la più bassa percentuale di consensi di sempre del Partito socialista francese).
Tutto sembrava prefigurare che questa tornata elettorale europea avrebbe potuto sancire la crisi dell’Unione.
Alle ore 0,15 del 26 maggio, quando sullo schermo TV di RAI-1 viene diffusa la prima proiezione del voto in Italia, ricavata dalle schede effettivamente scrutinate, lo scenario che si presenta è talmente lontano da quello vissuto nei giorni dell’angoscia, nelle settimane precedenti il voto, e talmente distante dalle previsioni fatte dai diversi e ripetuti sondaggi, da indurre a pensare subito che in effetti si sia trattato di un incubo, un brutto sogno insomma, immediatamente cancellato, non appena la realtà si è materializzata nella sua inaspettata consistenza: PD: oltre il 40%; M5S sul 22%; F.I. sul 16%.
E’ stato talmente incredulo e scosso da questo dato lo stesso conduttore della trasmissione, un navigato esperto della comunicazione e della politica, che subito ha rivolto all’esperto specialista responsabile del sondaggio la perentoria domanda: quale evoluzione potrà avere questa proiezione alla fine dello scrutinio dei voti? La risposta, secca e perentoria è arrivata subito: più o meno il 2% rispetto alla prima proiezione (come poi in verità è stato).
In quell’istante e sulla base di questa assicurazione, l’intero scenario politico italiano è apparso completamente mutato, inducendo ciascuno e tutti a provare ad immaginare le cause di una così marcata modificazione dei rapporti all’interno del sistema politico-elettorale.
Alle ore 13.34 del mattino seguente, il 26 maggio, il Ministero degli Interni ha comunicato il risultato definitivo del voto:
Votanti: 28.991.258 – pari al 57,22% degli aventi diritto; schede bianche: 579.353; schede nulle: 959.231;
Voti validi 27.448.906 – Seggi spettanti all’Italia: n. 73
Voti alle liste:

A 60 giorni da quel voto è possibile provare a fare qualche oggettiva considerazione di carattere generale? Ci proviamo.
 Premessa. Il voto del 25 maggio, ricordiamolo, cambia la composizione del Parlamento Europeo (monocamerale), non quella del Parlamento italiano (ancora bicamerale), dove la rappresentanza resta quella eletta a Febbraio del 2013.
E, tuttavia, esso rivoluziona il quadro politico europeo ed italiano, perché smentisce tendenze in atto, seppure in maniera non omogenea in Italia ed in Europa.
In Europa, in generale, è cresciuta la rappresentanza parlamentare euroscettica, in Italia il voto del Partito Democratico (40,8%) e quello dei due maggiori contendenti – M5S (21,15) e Forza Italia (16,8) – evidenzia un semi-terremoto che cambia i rapporti di forza decisamente a favore del primo.
Esso, infatti, ha già prodotto due importanti conseguenze:
• ha legittimato e rafforzato la rappresentatività del Presidente del Consiglio/Segretario Nazionale del Partito – beneficiario di un risultato che per la sua dimensione può sicuramente essere definito storico;
• ha costituito un importantissimo viatico in Europa, dove il primo luglio toccherà proprio all’Italia la guida dell’Unione.
Appare evidente, allora, che è possibile disincagliare la nave Italia dagli scogli, proprio come accaduto alla Costa Concordia in questi giorni, e riprendere la navigazione verso approdi meno pericolosi.
Abbiamo il dovere, dunque, di provare ad immaginare quali potranno essere le conseguenze del voto per l’Italia e per l’Europa.
La prima considerazione che vorrei fare è che sono in atto in Italia processi di cambiamento profondo nell’elettorato (disaffezione dal voto – disgusto per la politica – sfiducia verso le istituzioni e la pubblica amministrazione – indignazione per la dilagante criminalità, corruzione, evasione fiscale – crescente divario economico e sociale dei territori), dovuti alle stringenti preoccupazioni indotte da una crisi economica e sociale che si trascina, ormai, da oltre 5 anni, che non ha precedenti nella storia della Repubblica e che vanno indagati in profondità, con rigore scientifico per coglierne la portata, la dimensione ed il valore, per non sbagliare l’orientamento dell’azione complessiva di governo necessaria, da mettere in campo per correre ai ripari. Non tragga in inganno, tuttavia, il voto europeo; non si tratta di un premio assegnato a qualcuno per aver fatto qualcosa, ma soltanto di una speranza accesa in un mare in tempesta, di una opportunità offerta a chi pensa di poter dimostrare che la speranza ha un fondamento, ma che può essere revocata se ad essa non corrisponderà il risultato atteso. Troppe volte la politica ha tradito le attese e troppe volte i suoi progetti hanno dimostrato la scarsa credibilità dei suoi protagonisti, per poter pensare che castigati da un passato sofferto sulla carne viva, sia possibile continuare a dare credito senza riscontro.
Occorre, perciò, pensare e realizzare, senza tentennamenti, senza pigrizia e senza ferie, una buona politica, perché quella portata avanti da troppo tempo, ormai, ha consegnato al presente lacrime e sangue, fino all’esaurimento delle scorte.
Una politica che metta al centro della sua azione i bisogni primari di parte della popolazione, purtroppo crescente, ed il lavoro, il solo strumento capace di restituire dignità ai cittadini, proprio come recita l’articolo 1 della Costituzione.
Una politica che in maniera evidente e percepibile non sia più mero esercizio del potere per il potere, occasione per arricchirsi (ogni giorno le cronache raccontano), acquisizione di privilegi e mantenimento di rendite parassitarie, ingiusto e dannoso procedere nell’illegalità, nel sopruso, ma che sia fatica, sudore, servizio responsabile ed illuminato al prossimo, agli ultimi, veicolo virtuoso per far crescere il grado di civiltà dei territori e la partecipazione doverosa e responsabile dei cittadini all’edificazione di uno Stato giusto ed onesto che, ad ogni suo livello istituzionale, sia capace di una sana ed equa amministrazione delle risorse disponibili.
Una politica, infine, sinergica, realizzata in cooperazione, non in conflitto, tra i diversi gradi di responsabilità, che concerta tenendo fede ad ideali e valori presenti nella società e scritti nella prima mirabile partedella nostra Costituzione.

In Europa. Talvolta, parlando d’Europa, ne parliamo come se noi non fossimo europei, come se l’Europa non fosse la nostra casa, dimenticando che per stare nell’Unione l’Italia partecipa con una quota contributiva superiore all’ammontare delle risorse che riceve di ritorno (anche per nostra primaria responsabilità). Questo accade perché non teniamo presente la storia – historia magistra vitae – si diceva sin dal tempo di Cicerone.
Essa ci ricorda che l’Italia è stato uno dei 6 Paesi (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo), che vollero fermamente la nascita della Comunità Europea (oggi Unione), per realizzare il bene supremo della pace. E ci ricorda anche che tra i padri fondatori della Comunità – nata da un’idea di Jean Monnet (francese) – i più attivi furono Alcide De Gasperi (Capo del Governo italiano), Robert Schumann (francese) e Konrad Adenauer (tedesco). L’Europa, dunque, siamo noi e dobbiamo esserne tanto orgogliosi e fieri sol che pensiamo che proprio a seguito della sua nascita è stato possibile, in Europa, avere oltre 70 anni di pace, dopo due guerre mondiali che l’hanno interamente devastata ed impoverita.
In Europa si gioca, ora, la scommessa del futuro. Ed il funzionamento dell’Europa è indispensabile per riuscire a superare la crisi imperante.
L’ostacolo maggiore da superare è costituito dalla interpretazione da dare al binomio stabilità e crescita valori che informano i Trattati Europei sottoscritti da 28 Paesi. L’Italia sostiene, a giusta ragione, che perseguire la stabilità, come fatto sino ad ora, è giusto, ma che nello stesso tempo occorra attivare politiche comunitarie di sostegno alla crescita economica capaci di accompagnare gli sforzi dei Paesi in difficoltà che abbiano avviato concreti percorsi di riforma per riattivare la crescita economica (caso Italia).
Una siffatta politica è anzi doverosa, in nome di altri valori parimenti significativi contenuti nei Trattati, quali la coesione e la solidarietà. E’ probabile che al fondo di questa “querelle” ci sia più un problema di fiducia verso i Governi che sostengono questa tesi che un problema di corretta interpretazione dei Trattati, sol che si consideri che per altri Stati (Germania e Francia), seppure in altri momenti storici, l’interpretazione è stata abbastanza generosa e risolutiva dei problemi sofferti. Nel suo discorso inaugurale del semestre di Presidenza italiana a Strasburgo, il Presidente Renzi ha provato a sostenere con convinzione questa tesi, nel prosieguo vedremo se il suo argomentare avrà successo.

In Italia. Il voto di maggio ha accresciuto la forza di chi sostiene le riforme costituzionali ed il Governo è nella condizione di credere che, seppure gli ostacoli non manchino, la strada delle riforme, aperta a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, è quella giusta e che sia la sola da perseguire per disincagliare la nave e creare le condizioni per una navigazione via via sempre meno tempestosa, non per andare a Genova per essere smontata come accadrà alla Costa Crociere, ma per raggiungere Itaca (la citazione non è mia; è di un carissimo collega dell’Ufficio di Presidenza della nostra Associazione – vedi articolo sulla pubblicazione degli atti del seminario di Cosenza del 15.04.2013).
Ma occorre essere consapevoli tutti, nessuno escluso, men che meno chi è stato la causa prima di tanto danno, che la strada è lunga e che il Paese è dentro una crisi economica e sociale dalla quale è problematico uscire, fino a quando tanti italiani, dislocati nelle diverse postazioni della classe dirigente del Paese, non prenderanno coscienza che ci sono sacrifici ineludibili da fare ed al più presto, sacrifici che a qualcuno, e per davvero, non costano nulla.

In Calabria. Altro giro, altra storia, ancora più ardua e fortemente intrisa di sofferenze e privazioni, antichi e nuovi pregiudizi, malacriminalità, permanente emergenza politica ed imperante malcostume. Se provate a cercare un’isola felice, anche di ridotte dimensioni, non la trovate. L’intelligenza è stata totalmente sostituita con la furbizia, il sapere ha lasciato il posto all’ignoranza ed al sopruso, la buona politica e la buona amministrazione sono state e continuano ad essere inviate all’estero in trasferta permanente e la gara a chi tutto questo lo fa meglio dell’altro è la caratteristica dominante dell’agire politico. Quel che succede al di fuori di loro, nelle famiglie, nel sistema delle imprese, nei territori, non conta nulla. A predicare sono bravissimi, capacità di ascolto zero, tutto è o diventa possibile quando lo si vuole (non contano né la Costituzione, né lo Statuto, né le leggi dello Stato o della Regione) e quando non si vuole, tutto diventa lecito per menare il can per l’aia o esercitare un sopruso.
Proprio perché parliamo della Calabria, una terra servita come è stato possibile in nome di ideali e valori nei quali crediamo ed amata fino al sacrificio per essa, quando leggiamo il calendario dei mesi a venire vi troviamo:
• elezioni anticipate a Novembre, essendo intervenuto lo scioglimento del Consiglio regionale a seguito delle dimissioni del Governatore (vedi conferenza stampa del Presidente del Consiglio regionale in altra parte dell’agenzia);
• elezioni comunali a Novembre, al Comune di Reggio Calabria, primo Comune Capoluogo di Provincia ad essere sciolto per contiguità mafiose, dopo 18 mesi di Commissariamento da dimenticare, come si usa fare quando ti piomba addosso una tragedia.
Ma mentre in Italia assistiamo a pratiche per alimentare la speranza, in Calabria, se dovessimo domandare ai Segretari regionali delle forze politiche dove si va? La risposta potrebbe essere più o meno questa: “…ora vediamo, ora facciamo, …” ma nei fatti anche nel Partito Democratico, che pure l’elettorato calabrese ha premiato nelle elezioni europee (35,79%), come ha argutamente osservato sul suo giornale online un valoroso giornalista reggino, il vento della speranza, che forse aleggia a Roma, è stato sopraffatto dallo Scirocco e dal Maestrale che sono i venti dominanti nella punta dello stivale.
In verità non ha detto proprio così, ma il senso della sua amara e sofferta riflessione penso sia stato proprio questo.

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